pubblicato domenica 22 agosto 2010 su “La Padania”

Antonio Rosmini, ovvero il federalismo cattolico

 

Il cardinal Angelo Bagnasco ha indicato il “federalismo rosminiano” come la stella polare delle riforme che urgono al nostro Paese. Ma chi era davvero Rosmini e in cosa consisteva il suo progetto federalista per l’Italia?

Alessandro Manzoni, suo grande amico, l’aveva definito “una delle sei, sette grandi intelligenze dell’umanità”: Antonio Rosmini era un sacerdote e un pensatore eclettico, forse un precursore dei tempi. Vivendo nella prima metà dell’Ottocento, Rosmini, respirò l’aria rivoluzionaria e risorgimentale che condusse, a tappe forzate, verso l’unità d’Italia.

Da cattolico convinto qual era non poteva non vedere stagliarsi con nitidezza all’orizzonte il caos che quegli anni, densi di avvenimenti turbolenti, avrebbero procurato all’Italia e all’Europa tutta.

Dopo l’ubriacatura napoleonica e la successiva fase di restaurazione, negli Stati italiani pre-unitari, si incominciava a discutere seriamente di unificazione: non era certo la gente a discettare di tali questioni, bensì le elite dell’intellettualismo illuminista, fortemente imbevute di proclami giacobini e massonici.

Proprio sulla reazione al periodo d’invasione francese e sul tema dell’unità statuale italiana si evidenziava compatto – tra il 1815 e il 1848 – un fronte “neo-guelfo”, che faceva riferimento dalla Chiesa cattolica: tale raggruppamento vedeva i cattolici difendere le ragioni dello Stato della Chiesa e la persistenza degli Stati pre-unitari, magari confederati sotto la sapiente guida del Papa.

Con il 1848 tutti i sogni “guelfi” dei cattolici italiani vennero infranti e anche all’interno della Chiesa incominciarono ad evidenziarsi strategie politico-culturali di differente sensibilità in merito al “sentimento risorgimentale”. Se da un lato rimaneva salda e inflessibile la posizione anti-risorgimentale dei Papi, che si succedettero sul soglio di Pietro negli anni ruggenti dell’Ottocento, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX, sull’altra sponda vi erano alcuni isolati pensatori cattolico-liberali come Vincenzo Gioberti e Massimo d’Azeglio che propugnavano un compromesso al ribasso tra cattolicesimo e ideali risorgimentali.

Molto lavoro sotterraneo per distrarre i cattolici dal “papismo romano” fu oggetto dell’abile trama massonica sostenuta dagli ambienti più anti-clericali del “risorgimento italiano”: l’unità italiana – peraltro invocata da molte delle potenze europee maggiormente anti-cattoliche – fu un pretesto per attaccare il potere temporale della Chiesa cattolica e per invadere lo Stato più antico dell’Occidente, ossia lo Stato della Chiesa.

In questo clima di turbinio politico e sociale l’universo cattolico italiano visse momenti di difficoltà rilevante che culminarono, dopo l’unità d’Italia, ad una vera e propria ondata persecutoria che giunse addirittura alla confisca di innumerevoli beni ecclesiastici e allo scioglimento forzato della Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola nel 1534.

L’articolo 1 dello “Statuto albertino” citava letteralmente: “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”. Nonostante quest’apertura retorica e pseudo-confessionale, lo Stato italiano voluto dalla massoneria e dai Savoia risultò adottare una malcelata politica laicista e giurisdizionalista.

Fu appena prima del periodo unitario che si evidenziò, tra le fila cattoliche, la lungimiranza e la serietà del pensiero federalista di Antonio Rosmini che propose un tipo di federalismo funzionale al mantenimento dell’indipendenza della Chiesa cattolica.

Per Rosmini era proprio imboccando la via federalista che l’Italia avrebbe potuto trovare la sua vera unità: proprio il Federalismo, infatti, nell’ottica rosminiana, rappresenta la soluzione più idonea del problema dell’unità d’Italia.

Il pensiero politico del sacerdote trentino si differenziava, affiancandosi, alle correnti di pensiero federaliste che si svilupparono in quegli anni: quella che faceva capo a Gioberti, quella che si rifaceva a Cattaneo e quella portata avanti da Ulloa.

Il Direttore del Centro internazionale degli studi rosminiani, Umberto Muratore, ha così sintetizzato il progetto federalista proposto da Antonio Rosmini:

< Il progetto prevedeva un inizio di federazione italiana che abbracciasse insieme i regni di Roma, Firenze e Torino sotto forma di “Lega Politica”. Questa Lega doveva essere “come il nucleo cooperatore della nazionalità italiana”, un inizio aperto agli altri Stati che volessero in futuro entrare a farne parte. La Lega doveva concepirsi come una confederazione perpetua di questi primi tre Stati, sotto la presidenza onoraria perpetua del Papa.

La Confederazione doveva anzitutto elaborare una “Costituzione federale” da prepararsi mediante un’ Assemblea costituente. Una volta costituitasi sarà governata da una Dieta permanente, che risiederà a Roma. I membri della Dieta vengono eletti per un terzo dai Principi, per gli altri due terzi dalle due camere dei rappresentanti del popolo.

Compiti specifici della Dieta sono gli affari comuni a tutti gli Stati: dichiarare guerra e pace, regolare le dogane e ripartire spese e entrate, stipulare contratti commerciali con Stati estranei alla Confederazione, uniformare il sistema di monete, pesi, misure, esercito, commercio, poste, procedura civile e penale. Il compito di vigilare sul rispetto dell’uguaglianza politica tra gli Stati interni e fra Stato e singoli cittadini veniva demandato a dei tribunali speciali che Rosmini chiamava “tribunali politici” o tribunali di giustizia.

I tre Stati iniziali avrebbero favorito già dal nascere il futuro ingresso nella confederazione del Regno di Napoli, di alcuni Stati minori e dei territori che si sperava venissero a liberarsi dalla dominazione austriaca. In particolare, il Lombardo -Veneto si sperava venisse a fondersi col Regno di Sardegna, formando un solo Stato; mentre Parma e Modena sarebbero confluite in uno degli altri Stati. Per cui la futura Confederazione italiana sarebbe stata formata da questi Stati: Sardegna (che comprendeva la Sardegna vera e propria, il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, il Veneto, magari un domani il Trentino: tutti uniti come Alta Italia), Toscana, Stato pontificio, Regno di Napoli o delle due Sicilie. Quattro Stati in tutto; oggi diremmo quattro macro-regioni >.

La volontà di Rosmini era quella di far convivere tutte le realtà presenti nell’Italia di allora all’interno di una cornice statuale unitaria e federale. Proprio in quest’ottica di “unità nella diversità”, Rosmini intendeva salvaguardare i principi, la religione e il popolo di quell’Italia pre-unitaria che viveva una stagione di grandi smottamenti politici e sociali. Rosmini guardava agli Stati Uniti d’America e, parafrasando Alexis de Tocqueville, scrisse uno dei più belli tra i pensieri federalisti che ci sono giunti dall’Ottocento: “L’unità nella varietà è la definizione della bellezza. Ora la bellezza è per l’Italia. Unità la più stretta possibile in una sua naturale varietà: tale sembra essere la formula della organizzazione italiana”.

 

Antonio Rosmini, il federalismo sconfitto di una “persona irriducibile”

di GIUSEPPE REGUZZONI

Antonio Rosmini, teologo, filosofo, fondatore di un istituto religioso, canonizzato nel 2007 da papa Benedetto XVI fu anche uno dei protagonisti del movimento politico di idee liberali e federaliste che precedettero l’unità d’Italia. Rosmini, parla a più riprese del suo ideale di “Confederazione perpetua” fra gli stati italiani, Lo fa in tre opere importanti: la Costituzione secondo la giustizia sociale, la Costituente del Regno dell’Alta Italia e le Cinque Piaghe della Santa Chiesa.

La “Confederazione” rosminiana si fondava sul libero assenso degli stati aderenti, che avrebbero dovuto scegliere da sé la loro forma di governo interno, ma che avrebbero preso decisioni comuni in materia di difesa, di politica estera, di comunicazioni e di tutto quanto riguardava il “bene comune”. Ma il suo impegno politico e l’influenza intellettuale che Rosmini esercitata su Pio IX, non piacquero ai suoi avversari all’interno del Vaticano, primo tra tutti l’ultraconservatore Giacomo Antonelli, Segretario di Stato Giacomo Antonelli (che fu anche l’ultimo dei cardinali eletti senza che fossero preti). Fu questi a spingere Pio IX alla fuga a Gaeta nel corso dell’esperimento della Repubblica Romana del 1848, interrompendo il dialogo con il filosofo trentino. L’anno successivo, all’attacco politico seguì quello religioso: il 6 giugno del 1849 due sue importanti opere vennero messe all’Indice dei Libri Proibiti: Le Cinque piaghe della santa Chiesa e la Costituzione secondo la giustizia sociale.

Rosmini si trovò così al centro di un assedio da fronti opposti: da una parte il Vaticano, dall’altra la linea ultracentralista sostenuta dalla massoneria. Ebbe, certamente, il conforto e il sostegno di pensatori liberali moderati come Alessando Manzoni (di cui fu grande amico e che lo assisté in punto di morte), oltre che di Cattaneo, Gioberti e D’Azeglio, ma, alla fine, il suo progetto risultò sconfitto e sostanzialmente incompreso, forse perché troppo avanzato, ma, forse, anche proprio perché di un vero progetto si trattava. Come spiega Umberto Muratore nel suo volume: Rosmini per il Risorgimento tra unità e federalismo, Antonio Rosmini è stato uno dei pochi che, prima dell’unificazione d’Italia, abbia formulato un progetto chiaro di federalismo. Cattaneo, ad esempio, che viene considerato comunemente il padre del federalismo, rimane su delle linee generali, non ha un progetto chiaro e, sostanzialmente, riteneva che l’Italia non fosse pronta per un progetto federalista compiuto. Rosmini, che parte dall’idea di “comunità civica”, come spazio storico di condivisione di valori storici e ideali e di solidarietà reciproca, pensava al federalismo nel senso più letterale della parola “foedus”, patto che unisce, e, non per nulla, parla di “Italia unita nella diversità”.

Decisivo, nella filosofia rosminiana, è il concetto di “persona”, irriducibile, per la sua creazione e vocazione divina, a qualunque realtà esclusivamente terrena. Nulla è superiore alla persona, nemmeno lo Stato. La comunità è uno spazio naturale, come lo è la famiglia e come lo è il “villaggio”, la realtà di condivisione e di appartenenza in cui si esplica la dimensione relazionale della persona. Lo Stato, invece, ha e dovrebbe avere solo un ruolo organizzativo. Lo Stato, per Rosmini, ordina e disciplina un diritto che lo precede e lo fa attraverso la propria costituzione e le proprie leggi. L’individuo, la persona, con i suoi diritti, viene prima dello Stato ed è ad esso superiore.

Come si vede, sia pure solo per cenni, non si tratta solo di un potente antidoto contro l’idea astratta e giacobina di Stato, ma anche contro tutte le forme, a noi sin troppo ben note, di statalismo.

 

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RIPORTIAMO UN ARTICOLO DA: https://www.ilsussidiario.net/news/cultura/2011/5/24/storia-la-grande-lezione-federalista-di-rosmini-ai-nostri-statalisti/180111/

La persona come diritto sussistente – Il processo e il problema del Risorgimento italiano, aspirazione comune delle personalità intellettuali emergenti, viene dal Rosmini affrontato in diverse opere. Per comprendere in quali termini il Rosmini progettasse l’unità della penisola, considerata dalla diplomazia europea “una mera espressione geografica”, è necessario approfondire i principi giuridici che reggono l’architettura dell’ipotesi unitaria del progetto Italia “in fieri”. Rosmini appare un acuto filosofo del diritto, e indica nell’individuo visto come persona, il primo fondamento della costruzione giuridica della società che tende ad organizzarsi in uno stato unitario dalla Alpi alla Sicilia. Per il Rosmini la persona è in sé stessa portatrice di due caratteristiche essenziali, che emanano dalla sua essenza, date dalla sua irripetibile “individualità” e dalla sua natura di “socialità”. Questi due aspetti costitutivi del suo essere si sviluppano nell’ambito della suo dinamismo e lo spingono, tramite la razionalità e la coscienza, alla verità, al senso del bene e del male, che sfocia nell’eticità e quindi alla condizione della felicità.

Sotto l’ala della socialità la persona delimita le espressioni storiche concrete nella varietà delle forme di società coniugali, società famigliari, società civili, società culturali, religiose, economiche ecc. Nel corso della sua esistenza l’uomo si presenta come colui che stringe rapporti con le altre società e avverte il bene di vivere in una società nelle relazioni reciproche, segno di un continuo arricchimento del patrimonio di esperienze da più parti accumulate. La prospettiva di una società frutto di “un contratto sociale” (Rousseau) è aliena dalla mentalità rosminiana, poiché la spinta al sociale è insita nel dinamismo naturale della persona come prerogativa costitutiva del suo essere uomo.

La persona si erge quindi come centro catalizzatore del pluralismo sociale, e sarà essa a fondare il diritto. Diritto che lo stato non gli attribuisce dall’alto del suo potere, come investitura esterna, ma gli deve riconoscere per necessità metafisica e constatazione storica. Coerentemente lo stato non è fonte del diritto, ma “la persona è il diritto e il diritto è la persona”. Sicché il personalismo rosminiano diventa il fondamento di ogni altra costruzione di ordinamento giuridico da parte dello stato.

Da questa considerazione il Rosmini rileva i limiti di ogni società nel disegnare la mappa giuridica, poiché essi si trovano delimitati dai diritti essenziali e inviolabili della persona umana. D’altra parte lo stato è pure limitato dalla coesistenza nel suo ambito delle altre società, come la famiglia, pure essa portatrice di diritti inviolabili; e dagli altri stati, come dalla società universale del consorzio umano associato.

Il limite alle società umane di vertice, secondo Rosmini, si erge di fronte alla persona umana e non viceversa; è lo stato in funzione della famiglia e della persona, e non il contrario; “la persona è il diritto sussistente”, secondo la pregnante espressione rosminiana. Di qui ancora per conseguenza logica la persona svolge sempre un ruolo determinante, ha ragione di fine e non può essere abbassata mai a mezzo, per non essere resa strumento di deplorevoli sopraffazioni.

Con l’intento di semplificare il numero delle società aumentato a dismisura, Rosmini le articola e sintetizza in tre nuclei essenziali: la società famigliare, la società dello stato, la società del genere umano, che egli chiama “società teocratica”, ossia la società di tutti gli uomini vincolati tra loro e degli uomini nel loro rapporto con Dio. È giocoforza che queste tre scansioni sociali si trovino in un rapporto di armonica dipendenza: la famiglia è subordinata alla società, lo stato alla società internazionale. E il loro rapporto, delle società superiori con le inferiori, si esprime nel togliere a queste ultime il vischio dell’egoismo particolare per aprirle al sociale più vasto e universale. Per tutte le società, comprese quelle supplementari integrative: società culturali, società religiose, società economiche ecc., la spinta cospiratrice è quella di liberarsi dagli egocentrismi e pervenire a “l’universale giustizia e l’universale amore”.

L’analisi della situazione italiana – Nel pensare lo sviluppo sociale dell’umanità, il Rosmini, se da un lato tiene presente la sua finalità – cioè la perfezione di tutte le società per il loro sviluppo integrale­ -, dall’altra è consapevole della problematicità del loro sviluppo concreto nella vicenda storica del tempo. La riflessione della situazione italiana a metà del secolo XIX, ­ il periodo del Risorgimento, ­diventa per lui lo stimolo per elaborare il suo progetto non solo ideale, in astratto, ma tenendo presente tutte le fasi intermedie del loro sviluppo nel momento storico dell’articolato processo risorgimentale italiano.

Da ogni parte d’Italia correva con intensità il sentimento nazionale che aspirava ad una unità politica. Questa nobile finalità poteva essere impostata basandosi sull’5ingiustizia e sulla violenza, di uno stato che incorpora a sé gli altri staterelli della Penisola. Le condizioni storiche reali, con un forte senso della tradizione storica di ogni singolo raggruppamento, doveva essere considerato come punto di partenza per non cadere nel difetto delle costituzioni francesi, troppo astratte dalla situazione del paese, tanto da peccare di “perfettismo politico”, secondo la felice terminologia rosminiana. In altri termini esse erano logicamente e intellettualmente perfette, ma con nessuna attenzione alla situazione storica reale, e quindi destinate ad essere fragili nel tempo. Si pensava in maniera puramente cartesiana, e cioè che per incanto di metamorfosi una legge perfetta producesse una società altrettanto perfetta.

Nell’analizzare la situazione italiana, Rosmini constatava un’Italia con disuguaglianze geografiche che difficilmente sopportavano un governo centralizzato, processo che avrebbe maggiormente marcato la differenza tra nord e sud. Costringere siffatta differenza ad una univocità politica sarebbe stato una grave illogicità e avrebbe portato ad una rivolta contro lo stato. Per Rosmini il problema poteva trovare una soluzione equilibratrice nel conciliare il massimo dell’unità con la naturale varietà. E questo risultato è solo possibile attraverso una Federazione dei vari stati esistenti nella penisola. Una Federazione, comunque, che non si risolveva in una formalità istituzionale superiore, ma in un reale potere centrale che tutelasse nello stesso tempo i diritti dei singoli stati.

Il “federalismo” rosminiano – La concezione rosminiana è coerentemente ben più individuata di una Lega di Stati italiani. Sotto questo profilo egli supera per originalità e compiutezza giuridica di progetto le altre progettualità dei federalisti del suo tempo, dello stesso Gioberti di Torino e magari del Cattaneo di Milano. La prospettiva rosminiana – per usare un linguaggio del diritto pubblico ­- era quella di pensare una costituzione di Stato Federale, in cui si sommassero le caratteristiche dello Stato moderno con al suo interno le componenti statali integre nella loro individualità. Lo Stato Federale, comunque, rappresentava un’entità istituzionale diversa dagli stati suoi componenti, con potere decisionale autonomo e di rappresentanza di tutte le membra nel vertice centrale. Un qualcosa non dissimile dalla Federazione Svizzera, ove il Governo centrale rappresentava all’esterno tutti i vari cantoni-stato. In questa concezione il Rosmini è stato l’unico federalista vero e proprio nel pensare uno stabile ordinamento giuridico della cosiddetta scuola neoguelfa o riformista. Questa configurazione di orientamento superava la prospettiva di semplice Lega, e dava alle “sparse membra” di staterelli regionali, una “vera e autentica” personalità politica federale, come unica possibilità di realizzare l’unità consentita ai suoi tempi, senza ricorrere alla violenza della guerra.

Consapevole che contro l’esercito austriaco il più potente e organizzato d’Europa, mai il Piemonte, sia pur con volontari di tutta la penisola, avrebbe potuto essere vincitore per portare a termine l’unità d’Italia, necessaria risultava la preparazione degli spiriti a quella nobile tensione nazionale unitaria. Su queste dinamiche, coordinate interiori di cultura, di storia e di formazione di coscienze, anche l’esercito più potente nulla poteva di fronte ad una unità di animi protesi al medesimo fine. Di essere cioè consapevole nazione, amalgamata dalla stessa tradizione culturale trasmessa per secoli di civiltà da una medesima lingua.

L’articolazione della Confederazione italiana secondo Rosmini – Quello che è interessante nella posizione del Rosmini è rilevare che egli affrontò per primo in termini di diritto, tecnicamente specifici, una Confederazione Italiana, ponendo il problema nel contesto del diritto internazionale e delinenando la sovranità giuridica degli stati confederati al suo interno.

Per conferire una maggiore uniformità governativa possibile a tutti gli Stati confederati (primo principio) poneva al vertice una Dieta (assemblea o senato unitario) con carattere di istituzione permanente. Essa doveva risiedere a Roma (secondo principio). La sua azione avrebbe coperto il raggio delle relazioni internazionali, all’esterno; e, all’interno, la concordia e la prosperità comune di tutte le membra della nazione convogliate al bene comune (terzo principio).

Il primo punto si incarna in un’unica costituzione che preveda uguali leggi per tutti: civili, commerciali, penali e di procedura. Un uguale sistema monetario, ogni stato può recare l’immagine del proprio sovrano. Uniformità di pesi e di misure. Per l’esercito uguale uniforme e uguale disciplina, nonché medesima gerarchia militare. Così pure un comune diritto di cittadinanza e la medesima ammissione di tutti i cittadini italiani agli impieghi di ciascuna stato.

Il secondo punto riguarda lo sviluppo delle Camere legislative dei singoli stati, da non confondersi con l’istituzione centrale della Dieta italiana. Le camere coprono la competenza riguardante gli interessi pubblici e privati tra loro opposti dei singoli stati particolari. La Dieta, invece, rappresenta gli interessi dell’Italia in quanto nazione e stato unitario di fronte al concesso delle altre nazioni. L’interesse della nazione deve sommare e rappresentare tutti gli interessi particolari, armonicamente congiunti, come membra di un medesimo corpo, della cui vita la Dieta vive, prospera, e insieme regola.

Ogni singolo stato manderà alla Dieta di Roma tre rappresentanti, uno eletto dalla prima camera, uno dalla seconda camera, un terzo dal capo dello stato. Il terzo principio investe l’azione della Dieta, che assicura l’unità della nazione con i compiti specifici di ordine generale riguardanti i singoli stati, tenuti ad osservare le delibere di quella suprema, che rivela l’altezza d’una concezione giuridica matura e preveggente.

È sottile la posizione del Rosmini nei riguardi del Concistoro presieduto dal papa – che assume la presidenza onoraria della nazione e si pronuncia solo sotto il profilo di giustizia giuridica in via di diritto nei riguardi delle vertenze tra gli stati della Confederazione, e non in quello di “opportunità politica” spettante alla Dieta, organo supremo dello Stato Confederale Italiano. Quasi a indicare che l’autorità ecclesiastica può pronunciarsi su ciò che riguarda il diritto – in quanto fondato sull’aspetto dell’eticità delle relazioni pubbliche ­mentre il risvolto delle circostanze politiche, circa l’idoneità d’una legge in relazione al momento storico di “opportunità”, è deferita alla competenza della Dieta, supremo organo politico. Sembra indicare avvedutamente che la Presidenza onoraria papale riguardi solo l’aspetto di eticità delle relazioni dei singoli stati all’interno della Confederazione in rapporto alla Dieta, lasciando il risvolto politico all’autorità competente.

Nel parlare dello Stato sia unitario come la Francia, sia confederale come la Svizzera o gli Stati Uniti, e quello in fieri dell’Italia risorgimentale, Rosmini constata che le società moderne evolute rilevano un crescendo elefantiaco di diritti degli uomini. Sarà compito dello Stato di diventare sempre più uno strumento duttile per essere “un regolatore della modalità dei diritti”. In altri termini lo stato nell’intervenire nella società civile si trova di fronte a nuove situazioni di espressione di diritto che assumono una rilevanza di continuo moltiplicate. Nella selva di questi, ­ onde evitare l’assalto degli egoismi, ­ lo Stato è chiamato a diventare un regolatore illuminato della modalità dei diritti di tutti, così come a svolgere la medesima funzione è chiamata la Dieta (o Stato nazionale) nei riguardi della “società universale, teocratica perfetta”, nella quale risiede “la compiuta giustizia” di regolatrice universale.

Cattolicesimo liberale moderato – Da questa breve disamina che ha fatto oggetto l’ipotesi possibile di una Italia nazione, unita da un’architettura giuridica compiuta, e una nel sentire e nell’operare senza la dilatazione della violenza delle guerre, il Rosmini diventa il prestigioso e autorevole rappresentante di quel cattolicesimo liberale moderato che credeva nelle libertà moderne. Le Costituzioni diventano l’emblema del nuovo orientamento e dissolvono gli ultimi resti dell’Assolutismo settecentesco dell’Ancien Régime. Egli incorpora nel processo risorgimentale italiano e nel progetto di una Confederazione i principi evangelici, anzi li riteneva ispiratori della nozione della persona nella sua dignità, e dell’ordine politico innovativo da conferire alla nuova Italia, compaginata sull’asse della Confederazione, articolata nei vari stati. Sullo sfondo di una filosofia del diritto, egli faceva emergere la “giustizia sociale” nell’allestire la costituzione su principi equi, da tutti condivisi, che già intuivano la questione sociale. Opponendosi ad ogni forma di intransigentismo, sia pur di marca cattolica, che respingeva lo stato moderno – “l’opposizione cattolica” – ­ egli seppe prendere, da questo assetto costituzionale democratico, gli aspetti più vitali e positivi e mostrare come essi concordassero con le esigenze fondanti il Vangelo: la fraternità e la solidarietà.

 

Requisiti della società politica secondo Rosmini

Sulla modalità si fonda la costituzione dello stato nel senso che il legislativo non può disporre dei diritti degli individui ma deve disciplinare la tutela, la garanzia per consentire il miglior uso degli stessi.
I due requisiti essenziali della società politica, l’universalità e la supremazia, debbono essere ristretti entro l’ambito della modalità dei diritti. Se lo stato interviene sui diritti il suo potere diventa assoluto e la sua universalità e supremazia finiscono per legittimare il dispotismo della società, la più spietata tirannide. Il diritto è il principio costitutivo dell’organizzazione politica dello stato onde garantire la libera espressione della persona contro ogni forma di dispotismo.
Lo stato costituzionale rappresentativo fondato sulla divisione dei poteri deve fondarsi sui diritti della persona.

A garanzia delle norme costituzionali Rosmini prevede sul modello della costituzione americana una suprema corte di giustizia, il tribunale politico, con il compito di vegliare sull’esecuzione della costituzione, garantire i diritti sociali e difendere i poteri costituiti.
L’attività legislativa e di governo si basa sulle risorse economiche della società che vengono destinate alle se necessarie per l’organizzazione politico-amministrativa.
Una corretta amministrazione della cosa pubblica è garantita quando le imposte sono votate da coloro che debbono pagarle. Perciò la rappresentanza politica si articola nelle due camere dei maggiori e dei minori proprietari, distinte con riferimento ai redditi. L’elettorato attivo è limitato ai cittadini che hanno un reddito soggetto a imposta.
Il carico fiscale deve essere prelevato sulla base delle imposte dirette con esclusione dei redditi più bassi di sussistenza, riducendo al minimo le imposte indirette che gravando sui consumi colpiscono i redditi delle classi lavoratrici.
Il suffragio universale favorisce la formazione e la lotta delle fazioni e la corruzione elettorale; deresponsabilizza gli elettori il cui voto perde di valore, non avendo più un peso politico e un rapporto diretto con gli eletti di fatto sconosciuti alla massa degli elettori; non garantisce la tutela degli interessi delle classi lavoratrici; esprime una rappresentanza che cerca di realizzare una politica economica e fiscale finalizzata ad una redistribuzione della ricchezza mediante un socialismo di stato che finisce per accrescere la spesa pubblica e conseguentemente, per deprimere la produzione economica con danno delle categorie sociali meno protette. Il risultato è un dispotismo della maggioranza sulla minoranza e nel peggiore dei casi il contrario.

La soluzione della questione sociale cioè il progresso civile e politico delle classi lavoratrici deve essere promossa dal governo nel senso che deve operare in modo che l’intera società realizzi le premesse di quel progresso. Compito del governo è eliminare gli impedimenti e le preclusioni alla promozione sociale delle classi meno abbienti.
Lo stato deve fondare la sua attività di governo sull’opinione pubblica prevalente. L’opinione pubblica si deve formare mediante il dibattito e il confronto delle singole opinioni quale si rende possibile tramite la libertà di parola, di stampa, di associazione, di riunione.

di Filippo Amelotti
https://www.tesionline.it/appunto/Requisiti-della-societ%C3%A0-politica-secondo-Rosmini/738/110
per diffondere il nostro progetto, invita le tue conoscenze a firmare la petizione anonima : http://www.confederazioneitaliana.eu/firma-la-petizione-referendum-sulla-forma-istituzionale-dello-stato/

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